8 maggio 2021

Tradizionale consegna del simulacro di San Cataldo al Sindaco di Taranto e Giubileo delle Amministrazioni comunali dei comuni dell’Arcidiocesi

Basilica Cattedrale di San Cataldo in Taranto

San Cataldo è in mezzo al suo popolo

Ancora un altro anno senza le nostre tradizioni, la pandemia che lo scorso anno ci auguravamo cessasse presto è ancora tra noi e ci costringe a vivere la festa del Santo Patrono in modo non più inedito ma ugualmente straniante.

Nonostante tutto, ci siamo sforzati perché la comunità di Taranto, dalla Quaresima alla festività di San Cataldo, potesse coltivare la cura delle sue radici e il desiderio di fare comunione ed essere testimone di resilienza e di speranza.

La città che un anno fa sembrava immune dal virus si è poi rivelata fragile e ora sta ancora pagando un prezzo alto: la mia preghiera è per tutte quelle persone che non ce l’hanno fatta, per quelle che ancora soffrono nelle corsie degli ospedali e per coloro i quali se ne prendono cura, i medici, gli infermieri, tutto il personale sanitario, ai quali va la mia gratitudine.

Ai familiari affranti dico che noi sappiamo riconoscere la presenza di Cristo Risorto anche in questo tempo così difficile, anche nel dolore proprio come nella gioia, che la sua resurrezione dà senso e compimento a tutto.

Siamo battuti, ma non sconfitti, siamo fortificati perché Gesù Cristo ci ha riscattati e ci ha donato la vita eterna.

E ci ha donato San Cataldo perché ci sostenesse e ci ricordasse quanto siamo amati da Dio e che egli ci cambia la vita.

La pandemia non può però farci dimenticare la sofferenza che l’intera comunità ionica, che questa terra martoriata oggi qui rappresentata dai suoi primi cittadini che saluto e ringrazio nuovamente per la loro presenza, subisce da troppo tempo; non può farci dimenticare i lutti e le malattie dovute all’inquinamento dell’aria, dell’acqua, della terra.

Il mondo intero a causa del Covid si è ritrovato nella condizione che noi conosciamo bene, scegliere tra salvaguardare la salute o il profitto, l’uomo o l’economia, il vile ricatto al quale dobbiamo finalmente sottrarci.

Una comunità la nostra che conosceva già anche l’affanno per un sistema sanitario non in grado di rispondere alla domanda di salute e spesso costretta a peregrinare per esigere il suo diritto alla cura, un sistema che ha sacrificato la salute al pareggio economico: il suo grido è diventato dell’umanità intera.

Ma siamo davvero “comunità”?

L’intera provincia ha unito le forze al fine di costruire insieme un percorso condiviso per progettare un futuro socio economico rispettoso dell’uomo e dell’ambiente?

Dall’ex Ilva, passando per le scorie radioattive della Cemerad, ad arrivare alla discarica Vergine, abbiamo ferite aperte che possono essere sanate solo con la forza di una tradizione tutta meridionale costituita da valori resistenti e durevoli che dobbiamo riscoprire.

E preghiamo San Cataldo affinché sia presto disponibile anche l’importante contributo promesso dal PNRR, Piano nazionale di ripresa e resilienza del Governo.

Papa Francesco ci ha chiaramente indicato la strada illustrandoci con l’enciclica Laudato si’ il concetto di “ecologia integrale” che è un invito a una visione globale della vita, a partire dalla convinzione che tutto nel mondo è connesso e che l’uomo deve sanare la frattura che egli stesso ha causato per l’ambizione di superare i limiti naturali con la tecnica e ritornare a essere centro del sistema con il suo lavoro e la ricerca del bene comune.

Mi piace sempre parafrasare una frase di Giovanni Paolo II: dobbiamo prendere la nostra città, la nostra provincia e farne un capolavoro.

Stringiamo patti di fratellanza quindi, dal versante orientale a quello occidentale della provincia ionica, comune con comune, piazza con piazza, per conquistarci il ruolo che meritiamo per capacità e cultura.

Ma non tocca solo a noi!

Sentiamo molto parlare di “transizione ecologica”, abbiamo da poco un ministero dedicato, ma quale territorio se non il nostro è così emblematico dei guasti italiani?

Di bonifiche qui si parla da anni, gli impegni assunti sono caduti insieme ai governi che si sono succeduti per poi ogni volta ricominciare da capo, come in un estenuante gioco dell’oca.

Non possiamo più andare avanti così: serve un cambiamento radicale.

Il clima di incertezza sfianca anche la speranza più ostinata e ora abbiamo un’ultima opportunità con i fondi del Next Generation Ue e del Recovery Plan: restiamo insieme, uniti, facciamo fronte comune perché il nostro territorio possa finalmente risollevarsi.

Era il 10 maggio 1071 quando, mentre si ricostruiva la cattedrale rasa al suolo ad opera dai saraceni, durante gli scavi riaffiorò il sepolcro del santo dal quale si diffuse un soave profumo di santità.

Quest’anno festeggiamo i 950 anni da quel prodigioso evento, allora i tarantini reagirono alla disperazione della distruzione, attinsero alle vestigia del passato per ricostruire la città ancora più bella e furono accompagnati dal profumo del Santo venuto dal mare e che secoli prima avevano accolto seppur straniero: i popoli che vivono in riva al mare, quelli che vivono affacciati sul Mar Mediterraneo, il Mare Nostrum, coltivino sempre il valore dell’accoglienza e del soccorso, negli occhi di ogni essere umano venuto dal mare potremmo ritrovare quelli di un santo.

A 950 anni di distanza di nuovo abbiamo macerie su cui ricostruire: non è impresa facile.

Il lavoro che manca, la monocultura industriale, l’inquinamento e le malattie ad esso legate, il poco rispetto per il bene comune, ci impegnano in una sfida epocale che chiama in campo la responsabilità di ogni singolo: il mercato da solo non ci cambia; non si cambia se non cambiamo noi stessi, non si cambia se non tutti insieme.

È necessario, con la forza del vangelo e l’impegno di tutti, passare dall’io al noi, dall’individuo chiuso in se stesso alla comunità.

Essere in un mondo ferito come san Cataldo: buoni samaritani dei fratelli più poveri e attenti alla cura della casa comune.

Abbiamo ancora una volta a disposizione le vestigia di un passato più recente di quello che vide nascere la nostra cattedrale nella città vecchia, luogo anch’esso simbolo della decadenza recente a cui non vogliamo più arrenderci, scoglio sul quale tutto è nato e da dove tutto potrebbe rinascere.

Invochiamo il Santo Patrono perché posi sempre il suo sguardo, la sua mano, sul suo popolo e ci dia il conforto e la forza che ci servono per affrontare uniti questa grande sfida e progredire lungo il percorso del pieno soddisfacimento delle nostre legittime aspettative.

Consegno il Santo al sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, è un gesto che da solo parla della condivisione, della corresponsabilità.

Non usciremo nei due mari in processione, ma procederemo e navigheremo ugualmente nella direzione del bene comune.

Voglia Signore Gesù, per intercessione di San Cataldo, come recita la preghiera, far sgorgare dal profondo di questa immensa crisi, grande come il mare, una corrente di acqua dolce purificatrice e di speranza, un citro nascente dall’anello del Santo, immagine dell’abbraccio di fedeltà a questa terra che ora spiritualmente città capoluogo e comuni della provincia si scambiano.

San Cataldo benedica noi tutti!