Novecentocinquanta

Il tempo favorevole, il tempo della grazia, irrompe come sempre nel momento in cui siamo convinti di essere oppressi da preoccupazioni urgenti e più importanti. Il 2021 è l’anno delle incertezze, delle ripartenze annunciate ma lontane.

La pandemia è un terremoto mondiale e anche la Chiesa vive una sorta di riassestamento, di ri- orientamento cercando di reggere i colpi di un irrefrenabile e continua risistemazione. A Taranto ricordiamo 950 anni del ritrovamento di san Cataldo e della ricostruzione della Basilica Cattedrale. Plasticamente l’edificio di culto più importante della città è metafora di ciò che siamo stati e di ciò che possiamo essere.
Nella terra dei due mari, spesso scoraggiata e priva di una visione lungimirante e fiduciosa, si fa fatica a realizzare che i brandelli di quel mosaico, che quelle colonne, quel tiburio così elegante abbiano 1000 anni di storia.

Oggi noi ci approcciamo alle chiese come fossero monumenti d’arte, musei, ma esse esprimono la cifra identitaria di un popolo, valore ancora capace di parlare a noi e di indicarci una via.
All’inizio del secondo millennio Taranto era rasa al suolo, a opera dei saraceni il capoluogo ionico era distrutto, desolato, spacciato e i suoi abitanti esiliati, deportati, fuggitivi. Furono le macerie e i resti degli altri edifici a dare corpo alla basilica, il tesoro della civiltà ardeva ancora sotto le ceneri della distruzione.
Ancora oggi entrando in cattedrale cogliamo con inimitabile sobrietà l’eleganza della compagine architettonica nonostante ogni capitello, ogni fusto di colonna differisca dall’altro. Queste colonne nella loro diversità sostengono l’unico edificio caratterizzandolo oltremodo per bellezza. La capacità dei tarantini di ricostruire e di resistere è davanti ai nostri occhi.

Nel ritrovamento del corpo di san Cataldo nel medesimo cantiere della cattedrale vi è il significato profondo del tesoro nascosto nel campo della chiesa tarantina. Vi è un bene che insito in questo popolo, in questa terra, che non ci viene da fuori ma dobbiamo disseppellirlo seguendo la traccia del buon profumo di Cristo.
Prima ancora che la crocetta aurea che fu la testimonianza visiva della ricognizione delle spoglie del santo, la pia tradizione fa precedere il ritrovamento da un’insolita traccia olfattiva. Infatti da una sepoltura si sprigionava un profumo soave e intenso. La santità ci sorprende e non viene a noi per vie banali e scontate.
Sono passati 950 anni e l’occasione è feconda perché Taranto si riconcili con le sue radici, che non celebri solo il passato glorioso ma che riacquisisca il metodo per ricostruire ed essere ambiziosa e visionaria.

Di guerre , di pestilenze, di carestie il nostro Duomo ne ha viste e subite.
Rimaneggiata e anche messa da parte per ragioni di comodità e modernità, la cattedrale ha ancora un valore rivelativo per questo popolo.
La tradizione vuole anche che il battistero sorga sul luogo del ritrovamento di San Cataldo, il grembo della madre di tutte le chiese di Taranto ha il suo fulcro sulla tomba vuota, immagine meravigliosa del sepolcro disabitato di Cristo dal quale promana vita e non morte. In questa pandemia vorremmo ricevere tutti indicazioni su una via d’uscita.
Questa cattedrale non sarebbe la stessa senza il tuo tessuto urbano e soprattutto umano.
Sorge qui in mezzo a tanta bellezza e decadenza, in mezzo a tanta bella umanità ma anche degrado. La città ha bisogno della cattedrale ma la cattedrale ha anche bisogno di Taranto.
Non ci riavremo mai fin quando non la smetteremo di cercare soluzioni altrove.
I ponti la raccordano e al contempo la isolano.

Desideriamo una rinascita di questa città che, come tutte le costruzioni che vogliamo durino, dovrà partire dalla cura delle fondamenta.
Taranto vecchia è paradigma e fondamento della ricostruzione: non c’è muro o facciata di questi vicoli che per il suo restauro possa prescindere dalla cura dei ragazzi, delle famiglie, dei fragili.
La Cattedrale ora è oggetto degli interessi che la qualificano come “attrattore”, parlando in termini turistici, ma essa non cesserà mai di essere propulsore, casa di sacramenti ovvero dell’incontro di concreto di Dio con gli uomini, casa di famiglie, comunità, luogo vivo, dove il vescovo esercita il suo ministero di evangelizzazione e carità.
La Porta Santa che si spalanca in questo giubileo sia segno di una ritrovata fiducia, di entrata nel futuro che è già in atto in tante belle esperienze di buona volontà .
Le mani dell’arcivescovo che spingerà i pesanti stipiti settecenteschi con le loro stelle scolpite, segno della porta del cielo, augurino a Taranto l’allontanamento della notte e l’inizio del giorno nuovo.

Emanuele Ferro

*Mons. Emanuele Ferro è parroco della Basilica Cattedrale di San Cataldo e Presidente del Comitato per i Festeggiamenti del Patrono per il Giubileo dei 950 anni,