Giovedì, 26 novembre 2020

Omelia dell’Arcivescovo  per l’Assemblea Diocesana

Ascoltando le letture, le testimonianze e particolarmente il vangelo del Buon Samaritano, ci siamo nuovamente commossi. Questa Assemblea Diocesana è particolarmente importante, perché rilancia, in circostanze difficili, il tema che accompagna questo anno pastorale: Commossi dall’amore di Cristo.

Quanto più difficile è la situazione, più viva deve essere la nostra fede.
Non ci illudiamo, siamo ancora in un tempo difficile. Aumentano i contagi  e i nuovi infetti sono oltre 51.000 in Puglia e, sempre in Puglia, 578 morti solo nel mese di novembre …E nel frattempo decresce l’economia: il PIL al Sud è di  -10,8%.

In questo periodo c’è tanta violenza domestica e si registrano fatti gravissimi. Abbiamo anche celebrato, ieri, la giornata contro la violenza sulle donne. Durante il lockdown ne è stata uccisa una ogni tre giorni. È una media orribile, segno di inciviltà. Allo stesso tempo manca il lavoro e  crescono le difficoltà delle famiglie soprattutto delle più bisognose.
Di fronte a tanto dolore, cosa ci dice la parabola del Buon Samaritano?

Innanzitutto che non possiamo rimanere indifferenti o girare il capo come il sacerdote e il levita. Siamo coinvolti perché la morte e la malattia entrano nelle nostre case.
E qui ci vengono incontro, i vescovi  che, attraverso un messaggio recente del Consiglio Permanente  della CEI, parlano di un tempo di provazione, in cui «la parola di Dio ci chiama a reagire  rimanendo saldi nella fede e fissando lo sguardo su Cristo (Eb 12,2) per non lasciarsi deprimere dagli eventi».

Dicono ancora i vescovi: «Questo tempo sia soprattutto tempo di preghiera: “Proteggimi o Dio, in te mi rifugio” (Sal 16,1)». Il messaggio del Consiglio Permanente dei Vescovi, facendo eco alla Parola del Papa, invita poi ad evitare la mentalità del «si salvi chi può» che diventa facilmente un «tutti contro tutti»;  invece, dicono i vescovi: «non possiamo ritirarci e aspettare tempi migliori, ma continuiamo a testimoniare la resurrezione … additando la prospettiva di un tempo di possibile rinascita sociale, confidando nella solidarietà già vissuta durante la prima fase della pandemia di Covid. È nella concreta carità verso chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato che tutti verremo giudicati, come ci ricorda il vangelo».

Papa Francesco dice in un testo inedito dal libro Il cielo sulla terra. Amare e servire per trasformare il mondo: «Non ci salverà il moralismo, ma la carità».

È quando il cristianesimo si radica nel Vangelo che dona il meglio di sé alla civilizzazione: «infatti il cristianesimo dà di più all’agire esteriore degli uomini quando cresce in intensità spirituale, piuttosto che quando si perde nella tattica e nella gestione». Naturalmente questa osservazione vale storicamente anche al negativo; lo abbiamo visto tante volte, purtroppo:  il cristianesimo perde il meglio di sé quando finisce per corrompersi e identificarsi con logiche e strutture mondane.

Lasciamo la superficie per andare più in profondità; come calarsi nel cuore di una fontanella per scoprire l’origine di quella forza misteriosa che, in modo imprevedibile, spinge gli zampilli tutto intorno, modificando paesaggio e territorio circostanti. Possiamo trovare questa origine della dinamica trasformatrice cristiana, ben esemplificata, nella esperienza dell’apostolo delle genti, Paolo di Tarso, che il Signore disarcionò sulla via di Damasco col suo sguardo potente e misericordioso.
Paolo non ha fatto nulla per incontrare Gesù; non fu sua l’iniziativa. Nulla che gli meritasse quel brusco sguardo di amore che Dio rivolse inaspettatamente a un suo «nemico politico». Nemmeno «le opere buone compiute secondo la legge» – dice papa Benedetto – gli potevano valere la salvezza. Una gratuità assoluta, alla quale l’antico persecutore non oppone resistenza, anzi, con libertà l’accoglie fino a sentire questo avvenimento come la nota dominante la sua vita. La carità di cui Paolo diventa l’appassionato testimone e che ben conosciamo attraverso le sue lettere altro non è che il riflesso misterioso di quella misericordia sperimentata nella sua vita. Il suo Inno alla carità, nella Prima lettera ai Corinzi, resta il «manifesto» più suggestivo della rivoluzione che Cristo porta nel mondo.

Davvero uno degli errori più antichi e sempre ricorrenti nella storia della Chiesa è il pelagianesimo, in definitiva un cristianesimo senza Grazia, la fede ridotta a un moralismo, a un titanico e fallimentare sforzo di volontà. Il cristianesimo infatti non ha trasformato il mondo antico con tattiche mondane o volontarismi etici, ma unicamente con la potenza dello Spirito di Gesù risorto. Tutto il fiume di opere di carità piccole o grandi, una corrente di solidarietà che da duemila anni attraversa la storia, ha questa unica sorgente. La carità nasce da una commozione, da uno stupore, da una Grazia. È uno sguardo nuovo quello che nasce dall’esperienza fatta in prima persona della gratuità dell’amore di Dio.

«C’è un altro tratto distintivo nell’azione del cristiano verso gli ultimi. È una punta di letizia che resta sempre, magari a volte sottotraccia, anche di fronte alle esperienze più negative e dolorose. È la compagnia di una Presenza che non dipende in ultima analisi dalle circostanze esterne, ma è donata, appunto; una familiarità con Gesù nella quale si progredisce giorno dopo giorno nella preghiera e nella lettura del Vangelo». Sin qui Papa Francesco.

Come ultimo passaggio vorrei leggervi una testimonianza che ho trovato nel libro di Julián Carrón, Il brillìo degli occhi, dove lo scrittore Daniele Mencarelli, nel suo testo La casa degli sguardi, racconta un commovente brano autobiografico.
«All’altezza della vetrata Liberty stazionano due ragazzi.  La madre tiene in braccio un bambino mentre i1 padre gioca con lui, gli fa vedere la fontana del giardino interno e intanto, con smorfie e linguaccia, fa ridere il figlio. Quando sono a non più di un metro  da loro, i due genitori si voltano e con loro il bambino. Il passo perde la cadenza così come il respiro. Il piccolo avrà tre anni; a parte gli occhi, i1 suo viso non esiste, al posto del naso, e la bocca, ci sono buchi di carne rossa. Schiaccio gli occhi sul marmo del pavimento, gli sfilo a fianco senza più guardarli. […] Perdo tempo sperando che quei due ragazzi e il figlio sfigurato se ne siano andati. Le  risate  del  bambino  arrivano  prima di tutto. Sono ancora li. Ora però non sono da soli. Davanti a loro c’e una suora, è anziana, piegata in avanti, il suo viso sfiora quello tremendo del bambino. “Tu sei il bello di mamma e papà, vero?” Prende una manina e la bacia; lui forse per il solletico scoppia a ridere, la  suora  non  avrà  meno  di  ottant’anni,  ha il viso paffuto, bianco come il latte. “Allora non sei solo bello, sei pure simpatico, ti piace cosi?” E ripassa la manina sulla sua bocca, il mento, per il piacere di lui. Poi la suora si drizza, guarda il padre e la madre: “Ma non sentite che risata che ha? Questo,  dentro, non ha 1’argento, ha l’oro, l’oro vivo.” Lo bacia, incurante del suo viso, di tutto. Sono  stordito,  non  riesco a capire, a  decifrare”. E qui il commento meravigliato dell’autore che è un laico: “Ho visto  qualcosa  di umano  e al  tempo  stesso  straniero,  come un rito proveniente da una terra lontanissima, non riesco dentro di me a rintracciare strumenti per tradurlo nella mia lingua […] ho provato ogni approccio possibile, ho tentato di liquidare quel che ho visto come il delirio di una vecchia vestita di grigio, poi come il fanatismo di una suora sorda e cieca al dolore che voleva in ogni modo attestare la supremazia del suo Dio […] Ma  nessuna lettura  riesce a colmare la distanza tra quel che ho visto e la mia logica».

E allora anche noi non limitiamoci a dire: «come è brava quella suora», ma guardiamo Chi è all’origine di questa novità e che è riaccaduto anche nelle testimonianze che abbiamo ascoltato prima. Qualcosa che accade ora e che ci fa capire che Gesù è vero; che la potenza del suo amore accade oggi, ci raggiunge oggi nei segni che il Signore ci offre, nella testimonianza del Papa e nel cammino della nostra Chiesa. Com-mmossi oggi dall’amore di Cristo, nostro buon samaritano che vogliamo conoscere sempre di più e vogliamo seguire con lo stesso cuore degli Apostoli e che anche in questa pandemia  è presente e non ci abbandona.

Come gesto concreto, vogliamo unirci alla raccolta fondi per il piccolo Federico Muschiacchio di 15 mesi e che è affetto da una malattia neurovegetativa. Sarà insieme ad altri gesti di solidarietà  la testimonianza di una carità attiva per i più piccoli e di amore a Cristo.

Inoltre saranno ordinati diaconi i seminaristi Fabio Raffone e Mattia Santomarco  il 27 dicembre nella Concattedrale alle ore 17:00. Anche in tempi di Covid, usando tutta la prudenza, non abbandoniamo le nostre celebrazioni in presenza. E continuiamo a pregare per le vocazioni. L’8 dicembre celebreremo la Giornata del Seminario con la preghiera e con la raccolta annuale per il Seminario Arcivescovile di Poggio Galeso.

Infine, altro evento molto importante sarà la celebrazione dei 50 anni della inaugurazione della Concattedrale voluta da S. E Mons. Guglielmo Motolese e realizzata dal grande architetto Giò Ponti. Il 7 dicembre celebrerò alle 18:30 la messa per ingraziare il Signore e la Gran Madre di Dio per questo inestimabile dono che è la Concattedrale.

Proseguiamo ora con l’adorazione eucaristica e con la benedizione del SS. Sacramento.