Precetto Pasquale in Arcelor Mittal

Omelia di Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo Metropolita di Taranto

Carissimi fratelli e sorelle,

alla vigilia del triduo santo ci ritroviamo in questo luogo che ci è famigliare proprio per un evento che trasforma questo grande capannone in un cenacolo.

Un cordiale saluto a tutti voi lavoratori di questa fabbrica e ai vostri familiari.

Saluto il cappellano Padre Nicola Preziuso e tutti i sacerdoti presenti che sono in questo in mezzo a voi per il sacramento della Confessione.

Saluto l’ Amministratore Delegato Matthieu Jehl e i dirigenti dell’impresa Arcelor Mittal,

Saluto Sua Ecc.za il prefetto Antonella Bellomo e tutte le autorità civili e militari presenti.

L’incontro con i lavoratori dipendenti e i responsabili di questa azienda mi è personalmente molto caro perché qui si concentrano le problematiche del nostro territorio tarantino e qui ci viene incontro la luce della fede che, dentro i problemi ambientali e lavorativi, ci offre il sollievo di un’acqua viva che zampilla per la vita presente e per la vita eterna. Il Signore non ci lascia soli, ma ci è vicino con la sua parola e con l’eucarestia pane di vita.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta una delle icone più evocative del Vangelo di Giovanni che ci porta all’aperto, nell’ora più calda del giorno quando Gesù, seduto sul bordo del pozzo per la stanchezza, incontra una donna che viene ad attingere l’acqua. La donna è sola. Il figlio di Dio, totalmente uomo, cerca di avvicinarla chiedendole un gesto di gentilezza, di carità, si mette paradossalmente nella condizione di chi ha bisogno, in una delle necessità più semplici. Gesù ha sete. Lo sentiremo ancora in questa richiesta, il prossimo venerdì santo, durante il racconto della Passione. Prima di morire chiederà di bere. Eppure lui stesso è la fonte d’acqua viva, la fonte zampillante.

Egli è l’interprete della sete vera, di ogni sete dell’uomo: parlerà infatti di fame e sete di giustizia; confiderà il desiderio ardente di mangiare la Pasqua con i suoi amici. La sete del Signore è una sete d’amore che disseta tutta le seti degli uomini. Anche oggi ha sete della nostra risposta di fede, ha sete del nostro sì, del nostro amore.

Mettendosi un gradino al di sotto, Egli ci spinge a leggerci dentro, ci riporta dentro di noi. È lui che ci viene incontro nella nostra quotidianità, nelle nostre famiglie, nel nostro lavoro e si siede affianco a noi, come in questo momento, come in questa celebrazione eucaristica. Egli è prossimo a ciascuno di noi, qualunque sia il proprio ruolo in questo stabilimento.  La sua parola vuole illuminarci dal di dentro e dire la verità su ciascuno. Infatti il colloquio con la donna samaritana all’inizio è un piccolo duello fra le parti, ella infatti resiste all’invito trasparente di Gesù e probabilmente lo fraintende. Ma Gesù chiedendo di incontrarla con suo marito la spiazza perché decodifica l’unico interesse di Dio che vuole per noi, la felicità, la nostra salvezza. Dio frantuma ogni pregiudizio a cominciare dal farsi nostro compagno di viaggio, addirittura si manifesta come bisognoso rispetto alle sue stesse creature.

Chiedo umilmente a nostro Signore di aiutarci ad arrivare al cuore delle cose per scoprire che Lui è l’acqua della vita. Alla complicata ed imbarazzata risposta della donna samaritana Gesù rivela il mistero della presenza di Dio, che non è rinchiusa in un tempio ma può essere incontrata in «spirito e verità». Qui ed ora, nel contingente di questa città con tutti i suoi affanni e le sue difficoltà dobbiamo ricercare la verità che il Signore ci offre.

E’ sempre un fatto impegnativo parlare all’interno di questa fabbrica, ma durante questi anni ci siamo conosciuti meglio nelle vostre attese, nelle incertezze, nelle sofferenze e insieme ai vostri volti avevo presenti le vostre famiglie e il vostro lavoro. Siamo stati illuminati dalla Parola di Dio, dagli insegnamenti di Papa Francesco e non abbiamo mai perso la speranza e anche ora sono in mezzo a voi come Pastore  che cerca sempre di accendere una luce di speranza e di mantenerla viva.

Siamo in un sistema economico che ha dimostrato capacità eccezionali, che ha prodotto innovazione e progresso,  ma tutto questo ha valore se è messo a servizio del rispetto del creato, della qualità del lavoro, della dignità dei lavoratori.

Siamo di fronte a una nuova rivoluzione industriale, frutto della tecnologia che sarà tale solo se illuminata dalla coscienza, che rende superato il modello che vedeva il profitto prima di tutto e che ci dà gli strumenti per ripensare quel sistema i cui danni abbiamo pagato e paghiamo amaramente.

Taranto particolarmente ha pagato quello che papa Francesco chiama “debito ecologico”. Ha prodotto acciaio per tutto il Pese ed ora piangiamo per i nostri morti adulti e bambini.

È noto che la qualità di una società dipende da quanto la vita, la salute, la dignità gli ultimi, i deboli, vengono salvaguardati e tenuti concretamente in considerazione.

Per ricostruire il tessuto sociale di questo territorio dobbiamo riscoprire il gioco di squadra, la collaborazione tra parti finora opposte. Dobbiamo uscire dalla “carestia di speranza” e per farlo dobbiamo costruire una società fondata sulla fiducia, non chiudendoci nella sterilità della paura e del conflitto.

Il compito, sul nostro territorio, è arduo; riconquistare la fiducia dei tarantini è difficilissimo, ma non ci sono altre strade, pena il perpetrarsi di dinamiche sociali che nocciono non solo alla città, ma pure a chi fa impresa.

L’anno che è trascorso è stato accompagnato da tensioni e preoccupazioni non meno intense di quello precedente. Lì dove il destino degli operai del siderurgico sembra essersi incanalato nell’alveo della salvaguardia del posto di lavoro e, mentre la copertura dei parchi minerali procede a ritmi  più celeri del previsto come segno di una serietà di impegno professionale, restano ancora vive tra la popolazione le preoccupazioni in merito all’impatto ambientale. I timori sono legittimi e sono accentuati dalla ricorrente danza dei dati relativi alle emissioni.

Per questo mi permetto di sollecitare i dovuti monitoraggi in corso da mettere in relazione con quelli degli anni precedenti, con i limiti previsti dalla normativa e con quelli ritenuti accettabili dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in modo da poter discernere tra le legittime preoccupazioni e gli allarmismi.

Ancora, mi associo al presidente della Regione Puglia e al sindaco di Taranto, nel chiedere che venga quanto prima disposta la Valutazione preventiva dell’impatto ambientale e sanitario: non possiamo più permettere che, a distanza di anni e senza la possibilità di mettervi riparo, si ripropongano le carenze del passato. Il Governo in carica può farlo.

Occorre intraprendere un corso nuovo che ponga di fatto nella scala di valori la salvaguardia ambientale e la sicurezza del lavoro prima e al di sopra del profitto.

Il tempo nuovo indicatoci da papa Francesco nella Laudato si’, la strada dell’ecologia integrale, quella in cui lo sviluppo è tale solo se contempla la sicurezza e la salute dei lavoratori e dei cittadini, ci offrono le dimensioni dentro le quali dobbiamo muovere i nostri passi rinnovati: non perdiamo la speranza! E se oggi siamo qui riuniti per la nostra Pasqua, carissimi lavoratori è perché non vogliamo perderla!

La sfida è quella di instaurare un rapporto nuovo tra il siderurgico e la città, e richiede lo sforzo di tutti, in primo luogo del siderurgico. Un campo potrebbe essere quello di uno screening gratuito per le patologie da inquinamento per i quartieri prossimi alla azienda, finalizzato a sperimentare procedure per intercettare in tempi rapidi segnali importanti che possano prevenire l’insorgenza di malattie polmonari per loro natura rapide e infauste. Questo passo sarebbe possibile rendendo organico quanto si è cominciato a fare in termini di volontariato tra la Parrocchia Gesù Divin Lavoratore dei Tamburi e la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo.

Occorre quindi procedere con sollecitudine nell’attuazione del programma delle bonifiche, fuori e dentro lo stabilimento; far sì che non una tonnellata in più di acciaio sia prodotta a scapito dei limiti delle emissioni anche solo potenzialmente nocive, salvaguardare la qualità del lavoro e i lavoratori, sono azioni ineludibili: ce lo chiede la città ma, innanzi tutto, la nostra coscienza di cristiani e di cittadini.

Ma insieme a queste considerazioni vorrei ritornare al Vangelo della Samaritana quando questa chiede a Gesù: “Dammi quest’acqua che zampilla per la vita eterna”. E noi celebriamo il precetto pasquale non appena per manifestare le nostre attese e inquietudini; lo celebriamo perché abbiamo bisogno dell’acqua che zampilla per la vita eterna di cui si accorge la Samaritana quando il Signore le chiede di andare a chiamare il marito, e lei risponde di non averne. Gesù entra qui in un rapporto personale con la vita di questa donna e le dice: “Hai detto bene non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Possiamo parafrasare così:“Hai bevuto l’acqua di cinque matrimoni e hai ancora sete, e hai ancora bisogno di felicità; quindi hai bisogno di qualcosa di più grande, di una fonte di vita più grande e che ti disseti davvero. E’ giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità. E lei risponde: “So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”. Le disse Gesù: “Sono io, che ti parlo”.

Qui Gesù si rivela con il suo sguardo, con il suo amore, come l’acqua che disseta per la vita eterna. Questa donna, come tutti quanti noi, ha sete di pienezza, di qualcosa che colmi davvero l’attesa della vita. La nostra domanda è proprio domanda di pienezza, domanda di vita, e che possiamo fare tutti esperienza, dissetarci a quest’acqua viva.

Ci preoccupiamo dell’ambiente, della salute, del lavoro, ma attraverso tutto questo c’è una domanda più grande a cui quella donna ha trovato risposta nello sguardo e nella persona di Gesù ed allora è corsa a dirlo a tutte le amiche e gli amici del villaggio ed anch’essi dopo che hanno incontrato Gesù le dicono: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo” (Gv 4, 42). Ed io come Pastore sono qui per annunziarvi lo stesso Salvatore del mondo che è morto ed è risorto, che ci dona un amore senza fine e ci fa responsabili della costruzione di una terra e una società più giuste. Non siamo qui per un rito formale, ma per il risvegliarsi della fede a partire non dalla nostra volontà, ma dalla Risurrezione di Cristo presente tra noi. C’è qualcosa che viene prima di noi, una speranza che vince il tempo. A questa speranza così grande, al Signore risorto noi diciamo il nostro sì come la Vergine Maria, che lo ha seguito sino alla croce, rimanendo fedele al disegno del Padre. Noi siamo a qui per la stessa identica esperienza della Samaritana, dei primi che hanno incontrato Gesù e siamo sfidati a riconoscere la bellezza di quello che ci ha investiti. Anche per noi, come conseguenza della risurrezione di Gesù, la resurrezione avviene nella fedeltà, nell’obbedienza al Signore, nella vita di comunità assiduamente curata; nella famiglia, nel lavoro e nell’amore ai più poveri. E mentre preghiamo per la ricostruzione della Cattedrale Notre Dame di Parigi, centro di fede, di arte e di cultura, preghiamo e lavoriamo insieme per la resurrezione del nostro territorio tarantino, per la salute dei suoi figli, per la dignità del lavoro per il presente ed il futuro dei nostri giovani che non abbiano più ad emigrare. I nostri santi ci aiutino e tutti gli uomini e donne di buona volontà diano il loro contributo.

Auguro a tutti una buona Pasqua di resurrezione e di vita.