L’assenza di studi specifici sulla diocesi per quasi tutto l’Ottocento non permette di avere una conoscenza approfondita degli anni che vanno dal 1818 al 1885. Si succedono in quell’arco di tempo tre vescovi: Antonio De Fulgure (1818-1833), morto in concetto di santità, dicono le cronache, per la particolare attenzione che ebbe nei confronti dei poveri; Raffaele Blundo (1835-1855),
anch’egli ricordato in alcuni documenti come attento ad organizzare elemosine continue per i poveri della città capodiocesi e per aver ridato lustro al seminario; Giuseppe Rotondo (1855-1885), che sperimentò l’esilio di 11 anni tra il 1860 e il 1871 perché di forti tendenze filoborboniche. Nel complesso si nota un generale impoverimento nelle strutture religiose e assistenziali gestite dalla Chiesa locale, soprattutto dopo l’unità d’Italia. La svolta cominciò ad aversi con il successore, mons. Pietro Alfonso Jorio (1885-1907), che riaprì il seminario portando il numero dei convittori e seminaristi a circa trecento, ripristinando visite pastorali periodiche e molto meticolose, spingendosi a visitare anche le più sperdute cappelle rurali, esortando con numerosi editti clero e popolo al ritorno ad una fede autentica e una religiosità vissuta all’interno dei Canoni della Chiesa. Il suo episcopato coincide con la prima industrializzazione della città che ebbe riverberi significativi in tutta la diocesi.
A Taranto venne celebrato il primo congresso cattolico pugliese (settembre 1900) e il XVIII congresso nazionale (settembre 1901). L’organizzazione del mondo cattolico, dopo alcuni anni di involuzione, venne rilanciato da mons. Orazio Mazzella che nel 1917 successe al domenicano Carlo Giuseppe Cecchini (1908-1916). Con mons. Mazzella l’Azione cattolica moderna cominciò
ad essere presente con i suoi “rami” in tutte le parrocchie. Anche Taranto fu interessata dalla tendenza romana, soprattutto durante il pontificato di Pio XI, di mandare nelle diocesi del sud vescovi originari del nord Italia. Così, nel 1935, il piemontese Ferdinando Bernardi fu eletto arcivescovo di Taranto.
Il primo congresso eucaristico diocesano, celebrato nel 1937, portò una prima ventata di novità e di risveglio religioso in tutte le parrocchie della diocesi.
Tra le sue preoccupazioni costanti, in anni che diventarono sempre più difficili, ci fu la formazione dei seminaristi, il progetto di un sinodo che poi lo scoppio del secondo conflitto mondiale non permise di celebrare, il potenziamento delle organizzazioni cattoliche, lo sviluppo di strutture caritative durante il periodo della guerra e negli anni immediatamente successivi che lo resero molto popolare e benemerito in tutta la diocesi. Le trasformazioni strutturali della società italiana e locale degli anni Cinquanta lo videro però in netta decadenza fisica, lasciando al successore, mons. Guglielmo Motolese, prima suo ausiliare dal 1952 al 1957, poi amministratore apostolico sede plena dal 1957 al 1961 e dal gennaio 1962 arcivescovo di Taranto, il compito di portare la Chiesa locale sulle soglie ed oltre di una nuova modernità espressa, da un punto di vista economico, con la costruzione del grande centro siderurgico e, da un punto di vista religioso, con la celebrazione del Concilio Vaticano II.
La diocesi ha così vissuto una nuova stagione di cambiamenti che hanno visto anche la fondazione di nuove parrocchie man mano che le periferie della città capodiocesi e degli altri più importanti centri diventavano grandi e critici quartieri. L’attenzione della Chiesa locale al mondo del lavoro venne suggellata dall’attenzione della Chiesa universale con la visita di Paolo VI al centro siderurgico nella notte del Natale 1968. L’attuazione del Concilio passò attraverso la fondazione di un settimanale diocesano (“Dialogo”), l’istituzione, dal 1966, del Consiglio pastorale diocesano e del Consiglio presbiterale, da tutta una serie di lettere pastorali, dalla realizzazione della “Settimana della fede” ed altro ancora.
Il XX secolo si chiude con gli episcopati di mons. Salvatore De Giorgi (1987- 1990), che ha accolto Giovanni Paolo II a Taranto nell’ottobre 1989, e mons. Benigno Luigi Papa. L’azione pastorale di mons. Papa è stata costantemente ispirata all’augurio e alle indicazioni della parola di Giovanni Paolo II nel perseguire il bene spirituale e civile della comunità diocesana. I progetti pastorali, gli interventi d’occasione hanno avuto come punto focale di attenzione il territorio, nella sua valenza civile e religiosa; un’attenzione che non è stata mai formale né circoscritta alla sua persona, ma continuamente sollecitata a tutta la comunità ecclesiale.
Sulle varie “tracce” indicate da mons. Papa la comunità ecclesiale di Taranto si è incamminata nel terzo millennio con uno spirito fortemente missionario.
Il suo lungo ministero episcopale è stato ricco di opere come testimonia la creazione del Museo Diocesano, il restauro della Cattedrale e del Palazzo arcivescovile. Ha investito molto nella formazione culturale dei sacerdoti e per la promozione dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose.
Di notevole spessore è stato il suo magistero, raccolto in cinque volumi.
Il 21 novembre 2011 la Santa Sede accettava le dimissioni già precedentemente presentate da mons. Papa per raggiunti limiti di età. Contestualmente, lo stesso arcivescovo dava ufficiale comunicazione della nomina del nuovo Pastore: mons. Filippo Santoro, che lasciava il governo della diocesi brasiliana di Petrópolis. Nel primo saluto alla diocesi il nuovo arcivescovo ha parlato di
una Chiesa «nobile, piena di storia e di fede». Ingresso solenne il 5 gennaio 2012. In questi primi anni di episcopato tarantino ha confermato nei gesti e nei fatti la totale disponibilità della Chiesa locale a lavorare al fianco delle altre istituzioni civili al bene e alla crescita morale e materiale della città e della diocesi, per favorire l’integrale promozione della persona umana verso una
cultura animata dalla fede, per portare “la bellezza di Cristo e il Suo abbraccio all’intera società”. Negli incontri ufficiali e formali, nelle visite agli ammalati, ai poveri, ai carcerati, alle scuole, agli operai, alle comunità parrocchiali della intera diocesi, nelle locali “periferie esistenziali”, ha sempre invitato alla fiducia e alla speranza, chiamando a raccolta le forze vive della Chiesa diocesana e i
giovani in particolare, per costruire insieme un cammino di pace, di fratellanza e di vera solidarietà.
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