Il dovere dell’obbedienza per salvare le nostre vite

da "La Gazzetta del Mezzogiorno" di domenica 22 marzo 2020

È l’ora della responsabilità comune nella lotta al diffondersi della pandemia e nel sostenere le prescrizioni delle autorità sanitarie e governative. Ai miei amici del Brasile e dell’America Latina invio messaggi per invitarli a non commettere i nostri stessi errori iniziali nella battaglia contro il coronavirus. L’unica strada per una vera responsabilità è obbedire pienamente a ciò che tutela la salute e la vita.
Se la parola responsabilità è in generale accettata, in questi tempi siamo costretti a sdoganare anche la parola “obbedienza”come impegno personale e collettivo. Il pensiero dominante, altrimenti detto “mainstreaming”, aveva radiato questa parola intutti gli ambiti ritenendo favorisse la sudditanza ai dogmi e al potere. Ora siamo obbligati a fare di necessità virtù. Da giovane chierico ho esultato leggendo il testo di don Milani “L’obbedienza non è più una virtù” perché lui giustamente accusava chi aveva criticato l’ “obiezione di coscienza” nei confronti del servizio militare. Poi però, la disobbedienza e la trasgressività sono state via via esaltate e proposte come modello sia delle elite che del popolo.
Un esempio di questi giorni è stato disobbedire alle disposizioni dei sindaci, in virtù dei Dpm che si sono succeduti per limitare la diffusione dell’epidemia, che in alcune città della nostra terra proibivano di fare i falò per la festa di san Giuseppe, falò che sono autorizzati sempre solo in determinate condizioni di sicurezza. Qui a Taranto alcuni incivili non hanno rispettato il divieto e noto con piacere che ciò non è accaduto nella città vecchia, dove invece tanti sono stati i balconi che hanno esposto i lenzuoli bianchi come suggeriva la Cei durante la recita del santo rosario per chiedere la protezione per le nostre famiglie.
Altrove la battaglia con le forze dell’ordine è stata serrata. Occorre fare un gran lavoro per far capire le ragioni dell’obbedienza quando si tratta di difendere e salvare la vita, anche se ciò costa sacrificio. Si obbedisce sempre a quanto permette la crescita e non la distruzione della propria vita. È un’obbedienza che coincide con la vera libertà. Quindi, con spirito di servizio e senso di responsabilità restiamo rigorosamente in casa.
Insieme al dovere dell’obbedienza stiamo scoprendo il senso del limite rendendoci conto che in un niente può essere messa a repentaglio la nostra vita. Cinesi, americani, russi, al di là di teorie cospiratorie, scoprono di essere stati colti di sorpresa di fronte a questo virus che tocca indistintamente tutti a livello mondiale. Questa è proprio una guerra mondiale sorta, almeno per quando ne sappiamo ora, per motivi non ben noti ma che ha messo in evidenza tutti i limiti delle politiche che hanno avuto come unico obiettivo il profitto e non il benessere dell’uomo.
È una sfida alla società globale, al cosiddetto nuovo ordine mondiale garantito dal potere politico, economico e tecnologico. Scienza e tecnologia si stanno ora adoperando per trovate un vaccino … E intanto vite continuano a cadere di fronte a un nemico terribile che si porta via i nostri cari in così gran numero. Preghiamo perché il contagio si fermi e osserviamo le regole che ci sono date.
Nella sofferenza e nell’ affanno stiamo scoprendo anche cose mirabili come la capacità di donazione di medici, infermieri, autorità varie in questa battaglia che avanza ancora. Stiamo scoprendo anche la solidarietà che ci invita a collaborare come fratelli nelle strutture sanitarie come nelle nostre case. Costretti a stare in case, alcune volte piccole, possiamo ritrovare, come diceva Pascoli, il Focolare. “A poco a poco niuno trema più négeme più: sono al caldo; e non li scalda il fuoco, ma quel loro soave essere insieme”. Tutto questo non è scontato, ma può accadere se usciamo da noi stessi e accogliamo chi ci è vicino.
E insieme a tutto questo c’è qualcosa che illumina la vita e la morte. Sì anche la morte che in questi giorni ci è davanti con inconsueta forza. Nella società in cui viviamo si fa di tutto per censurarla, ma essa si impone, con maggior crudeltà quando neppure possiamo piangere e stare vicini a quanti ci lasciano. C’è un impellente desiderio di non perdere coloro che amiamo. C’è in noi un incontenibile desiderio di vita. Nei vangeli di questa Quaresima con gli esempi della Samaritana, del Cieconato (vangelo di questa IV domenica), di Lazzaro il Signore ci presenta l’acqua viva, la luce, la vita che Lui è venuto a portare e che il nostro cuore desidera in questa vita e per sempre. Abbiamo dimenticato l’aldilà, ma per quanto ci sforziamo di farlo, è qualcosa che irrompe sempre. Sarà per questo che il nostro popolo è così legato ai riti della passione, morte e resurrezione della Settimana Santa. E sarà un dolore non poterli celebrare come solitamente facciamo. Ma troveremo le nuove forme per sentirci insieme col Santo Padre Francesco e con tutti i fratelli anche attraverso TV e i nuovi media. Ma con certezza a nessuno che apra il cuore mancherà lo sguardo
dell’Addolorata, l’abbraccio della Croce, il canto della Resurrezione.
+ Filippo Santoro
Arcivescovo di Taranto