Sabato 1settembre 2021

Portatori di fiducia in un cammino sinodale

Omelia per l’apertura del nuovo anno pastorale

Carissimi,

mentre siamo qui riuniti non possiamo ignorare la situazione storica in cui stiamo vivendo: la pandemia che continua con le sue insidie e le sue varianti; oggi 11 settembre a vent’anni dall’attentato alle torri gemelle di New York; il dramma dell’Afganistan e dei rifugiati; la gravissima crisi ambientale e sociale.

Il nostro anno pastorale è sempre cominciato con un camminare insieme con un pellegrinaggio, prima a Loreto e poi a San Giovanni Rotondo, simbolo di una Chiesa non sedentaria,  ma in uscita percorrendo un cammino comune. E’ appena uscito il Documento preparatorio del Sinodo dei Vescovi che pone anche a noi una domanda di fondo: “Una Chiesa sinodale cammina insieme. Annunciando il vangelo. Come si realizza questo camminare insieme nella nostra Chiesa particolare?”. Un Sinodo non si comprende  se non alla luce dello Spirito Santo che guida la Chiesa. Un Sinodo è un’esperienza di ascolto gli uni degli altri e tutti in ascolto dello Spirito. In questo cammino vorremmo cominciare dall’ascolto della realtà umana in cui ci troviamo e dall’ascolto delle scritture che ci hanno parlato attraverso le letture della liturgia che stiamo celebrando.

Ci ritroviamo anche quest’anno a dover vivere il nostro pellegrinaggio all’interno della nostra chiesa locale, non possiamo per ovvie ragioni spostarci in numero considerevole fuori dalla nostra arcidiocesi, ma l’inizio del nuovo anno pastorale ci impone di dover porre un atto di fede che ci ricordi comunque sia che siamo pellegrini e che se anche le nostre gambe non possono incedere fisicamente verso una meta distante, è utile a ciascuno ricordare che non siamo erranti, confusi e avventurieri sulle strade del mondo, ma il nostro sguardo è fisso a Lui: Gesù Cristo unico Redentore. Sentiamo la necessità cocente di porre di fronte alle tante speranze di miglioramento di continuare a porre la speranza contro ogni speranza (cf Rm 4,8).

Balsamo, nutrimento e luce ci viene dalla Parola or ora proclamata, una promessa autentica che ci è confermata, per la quale come dice l’Apostolo voglio rendere grazie anche io sempre, perché: «non mancate di alcun dono, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. rendendovi saldi fino alla fine perché Dio è fedele» (1Cor 1,9).

Per un attimo anche noi spostiamoci sulle sponde del lago di Genezareth, sapendo che tanta gente, una moltitudine, dice il Vangelo di Luca, ha sete di ascoltare Gesù. Gesù si accorge di un particolare che si rivela scatenante della sua misericordia, ovvero due barche sono ferme e alcuni uomini smontanti dalla notte di pesca sciacquano e riassettano le reti. Le reti sono partite vuote e ritornate vuote. Ferme quindi le barche, al sicuro ma ormeggiate, come lo siamo noi in questo momento della storia del mondo e della Chiesa. Il Maestro chiede, e non a caso, in prestito la barca di Simone, per potersi scostare da riva e usare l’imbarcazione come un ambone dal quale proclamare il suo lieto annuncio. Come vedete usa la barca per poter predicare. La prima trasformazione avviene dall’impiego nuovo di uno strumento di lavoro, la salvezza risiede in una ferialità che ci sfugge, che noi crediamo banale ma dove già risiede permanente lo Spirito creatore. E’ proprio nelle circostanze della nostra vita quotidiana il luogo dove il Signore ci raggiunge; ci viene incontro attraverso la realtà. E qui manifesta lo straordinario: lo sguardo del Signore è creativo, inedito, talvolta spiazzante. Simone si fida.   

Al termine della predicazione un’altra richiesta bizzarra del predicatore di Nazareth. Chiede quindi a Simone di prendere il largo. Di scostarsi ancora dalla riva e di ritentare la pesca fallita. È la nostra storia. Dinanzi a noi prima si è dipanata la notte e le nostre reti strascico, sebbene lunghe e larghe, pesanti da calare, che hanno messo a dura prova le nostre braccia e la pazienza, avendole calate più e più volte, sono risalite a galla quasi più leggere di prima e inesorabilmente vuote. Mi sembra di vedere le chiese in questo periodo: tanta gente ci ha cercato, non è finita la fame e la sete di vita e di senso nel mondo, ma la nostra fatica e il nostro sudore alle volte ci sono sembrati vani. La notte del virus ci ha avvolti e ora che essa sembra restituirci al bagliore timido dell’alba, abbiamo paura di riprendere il largo con le nostre reti ripiegate e pulite. Pietro, però, si fida.

Del brano del Vangelo che abbiamo ascoltato, quello della pesca miracolosa (Lc 5, 1-11), il protagonista non è il miracolo ma è la Parola e la presenza stessa del Signore che si manifesta con tono imperituro e inappellabile all’alba del nuovo giorno. La Parola del Signore è sempre chiara, inequivocabile, diretta. Nella risposta di Simone vi è un’ammissione di impotenza ma vi è anche un aggrapparsi a Gesù: Maestro abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla ma sulla tua parola io getterò le reti! (cf v. 5).

Anche noi dobbiamo mettere nelle mani del Signore, senza vergogna, le nostre reti vuote, le nostre stanchezze e metterci in ascolto. Di fronte all’evidenza di un tempo inopportuno per pescare secondo quelle che sono le nostre convinzioni. Le acque si stanno riscaldando ai primi tepori del sole, luce e rumore fanno si che i pesci vadano ancor più in profondità, nascosti al sicuro. Necessarie sono le nostre reti, ma solo l’invito di Gesù buca l’abisso e scende in profondità, solo la Parola del Signore è capace di raccogliere dal fondale le creature diffidenti e sfiduciate. Questo Rabbì di Nazareth ha guarito sua suocera (cf Mt 8,14-15), ha liberato con autorità già tanti posseduti dal demonio (cf Lc 13,10; Mt 12, 22), ha sfilato indenne fra i suoi compaesani che volevano ucciderlo buttandolo dal dirupo (cf Lc 4, 16-30). La memoria della potenza di questo predicatore e guaritore si è fatta strada nel cuore del pescatore di Galilea convincendolo a rischiare il largo. E noi? Ne siamo ancora capaci? Ci lasciamo interpellare da un imperativo così fuori dalla nostra portata?

Iniziamo un anno pastorale, probabilmente siamo fermi, semplicemente garantendo l’ordinaria amministrazione, paralizzati  da programmi prevedibili e calendari riadattabili secondo le esigenze di questa pandemia. Quanto siamo disposti ad uscire ancora in mare aperto? Abbiamo solo reti vuote, nemmeno i pochi pani e miseri pesciolini (cf Gv 6, 1-15).

«Non abbiamo preso niente Signore» ci verrebbe da dire. Eppure abbiamo faticato. Vi è un dato esistenziale che sembra aver chiuso il capitolo di una nottata infruttuosa. Invito tutti a cercare nel mare profondo del proprio cuore di non fermarci ad un ormeggio pieno di delusione. Il primo mare oscuro in cui calare la rete è proprio dentro di noi.

La premessa di ogni cammino ed anche del cammino di quest’anno pastorale è l’ascolto della realtà e il non fuggire da essa. E’ nella realtà che si gioca la partita della nostra vita.

Ai sacerdoti per primi, nei quali magari si è depositato nel fondo l’entusiasmo per il disincanto e stanchezza, dico calate la rete fiduciosi nella parola del Signore, specie quando pensiamo che la nostra fraternità sia depositata sul fondo.

Alle famiglie delle nostre comunità dico di lasciar scandagliare il fondale dalla presenza viva di Gesù, per riportare a galla la certezza che la Chiesa è la casa di tutti e dove c’è posto per tutti.

Ai giovani dico che nell’ incontro col Signore c’è qualcosa che è incomparabile con tutto il resto e che è la pienezza della nostra vita e può essere afferrata quando sulle garanzie di Cristo caliamo le reti della vita e ci affidiamo a Lui.

Siamo chiamati a paragonare la nostra vita e le attuali circostante con la presenza eccezionale di Gesù. Paragoniamo ogni nostra azione con questa presenza luminosa che ci dice: prendete il largo! Così avviene il miracolo: le reti si riempirono e i pescatori che prima erano affaticati dal fallimento, dal vuoto, ora fanno fatica a tirare su i pesci. Di nuovo stanchi gli apostoli ma di gioia e di meraviglia. Le barche rischiano anche di affondare, non sono più sicure perché stracolme di pescato. Rimaniamo coscienti dei nostri limiti, ma fiduciosi in Lui.

Reti disabitate brulicano di novità che la nostra parola da sola non è capace di attrarre ma che la Parola del Maestro attira con effetto immediato.

Simone si getta ai piedi di Gesù chiedendogli di allontanarsi da lui perché peccatore ma il Signore gli risponde di non avere paura. Di non temere. Anche noi a largo e di fronte a Dio dobbiamo cadere in ginocchio. Oggi pellegrini nella nostra stessa Città dobbiamo prostrarci e riconoscerci peccatori, ovvero poveri di fiducia in Dio, appoggiati solo alle nostre forze. Il Signore non vuole stupirci con i miracoli ma vuole che verso di lui ci apriamo all’esperienza filiale.

«Essere capaci di abbandono fiducioso, di confidare nella forza generatrice della vita. Di sentirci legati ad una sorgente, ad una realtà più grande che sovrasta e ci avvolge. Essere capaci vivere l’oggi senza farsi sovrastare dalle perdite e dal dolore»[1]. (Ignazio Punzi)

Solo così il Signore ci chiamerà ancora; così Simone si riscoprirà Simon Pietro, la roccia su cui fonda la Chiesa. Allora la nostra vita non verrà sostituita ma trasfigurata: «Simon Pietro d’ora in poi sarai pescatore di uomini!» (Lc 5,10). Che cosa vuol dire? la Presenza di Gesù che ci ha pescati dal fondo, come in un parto cambierà il nostro modo di respirare, all’inizio l’aria brucerà le nostre narici, i nostri polmoni ma verremo alla luce. Pescatori di uomini vuol dire portare fuori delle acque gli altri uomini, i nostri fratelli, che non sono pesci, ma figli! Per nessuno è l’abisso, per ciascuno invece è un paragone nuovo con questa eccezionale presenza di Gesù, volto della misericordia del Padre[2].

Fedeltà di Dio
In questo anno ci impegniamo a scoprire innanzi tutto la Fedeltà di Dio. Dio è fedele al suo amore e quindi ad ogni uomo e ad ogni donna.

A partire dall’attenzione alla realtà la prima parola quindi è questa, perché tutte le comunità riscoprano l’annuncio e la garanzia di Dio che non ci abbandona mai. Ribadisco ciò che sembra scontato ma scontato non è, ovvero la centralità di Dio nelle nostre comunità, tutto deve ricondursi a Lui, ogni nostra riflessione, ogni nostra azione deve sorgere da Lui e a Lui ritornare. Voi sapete ormai che la prima parola ha una sottolineatura potremmo dire kerigmatica. Deve innervare ogni nostro annuncio: Dio è fedele alla sua promessa di creazione e redenzione. Dobbiamo chiedere allo Spirito Santo quella caparbietà di Simon Pietro che non risparmia a Gesù la sua delusione ma non perde un minuto per obbedire al suo comando. Obbediamo a Dio perché egli è fedele al suo amore. Nella sua volontà è la nostra pace[3].

Pietro è la roccia sicura. Quanto gli uomini e le donne del nostro tempo nelle nostre comunità vedono una fede certa, fondata saldamente  seppur coi contorni delle nostre fragilità umane? Il primo impegno è una verifica della solidità degli insegnamenti ricevuti, a partire dalla accoglienza della fedeltà di Dio. Avverto il bisogno delle nostre comunità di riappropriarsi delle proprie fondamenta. Sempre soffieranno venti, strariperanno fiumi, cadranno piogge, e avverranno calamità per tutti, credenti e non, ma la casa fondata sulla roccia non crollerà. Quel fondamento è sicuro, è fedele, è immutabile (cf Mt 7,24-27).

Fiduciosi nella fedeltà di Dio
Sulla roccia della Parola del Signore che non passa: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20) ed anche:  “Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) è fondata la comunità dei fratelli: per questo dall’aspetto kerigmatico, la nostra riflessione deve evolvere verso il comune affidamento al piano di Dio in una comunità precisa: dalla fedeltà di Cristo dobbiamo andare alla fiducia nella fedeltà di Dio nel luogo concreto in cui ci pone. Gesù che muore in croce per noi rimane l’icona immutabile di un Dio che ci ama, non a parole ma con i fatti e nella verità. Tutto questo si compie nel paragone costante di tale verità con la nostra vita quotidiana, in modo che tutto sia vissuto nella sua compagnia. In una Chiesa spesso provata dobbiamo esercitarci nella fiducia che non è appena un esercizio di conoscenza e di reciprocità, ma è molto di più. La fedeltà di Dio è la fonte di ogni nostra fiducia, ai suoi piani, alla sua volontà. La fedeltà di Dio è la sussistenza del nostro fidarci e del nostro affidarci. In tutta la sacra Scrittura non vi è una storia di fede che non si sia espressa nel buio e nell’affidamento a Dio. La luce gentile ha guidato i patriarchi, i re, i profeti, verso una terra promessa e sconosciuta. Quando l’uomo ha diffidato di Dio alle sue spalle gli sono chiusi i cancelli del paradiso. Quando invece su invito di Dio ha messo piede fuori della tenda e guardando le stelle ha cominciato ad incedere verso l’ignoto, mano a mano con Dio, da arameo errante è diventato un popolo (cf Dt 26,5).

Siamo chiamati a riscoprire la fiducia dando la mano al Signore. Solo la fiducia alla sua fedeltà potrà avverare il desiderio di papa Francesco di una Chiesa in uscita. Solo la fiducia nella fedeltà di Dio può farci vincere la paura. Perché è la paura che domina la terra: la paura della pandemia, la paura delle immagini di guerra che arrivano nelle nostre case, la paura di un futuro incerto.

«Pietro non temere, ma fidati di me» ripete il Signore a ciascuno di noi, ad ogni nostra comunità. Solo nella fiducia riusciamo a prendere il largo.  Questa fiducia vive in un luogo, nella Chiesa, nella nostra comunità di parrocchie, di associazioni, di movimenti, di sevizi, di confraternite che sono i luoghi concreti in cui la fedeltà di Dio deve fare irruzione. Nella comunità guardiamo coloro che paragonano di più la propria vita, le proprie esigenze, ciò che ci succede con la presenza di Gesù. Gli amici veri sono quelli che ci spalancano alla pienezza della nostra vita che può essere riempita dalla fedeltà di Dio.

 

Insieme nel cammino di fiducia
La terza parte della nostra riflessione riguarda l’aspetto missionario. Contenuto già nel motto del pellegrinaggio 2021, Portatori di Fiducia, siamo chiamati all’esperienza della Chiesa universale.

Avvincente ed impegnativo è il tema del prossimo Sinodo dei Vescovi: per una chiesa Sinodale: comunione, partecipazione e missione. Che prevede fin dal prossimo ottobre il coinvolgimento di tutte le chiese particolari del mondo.

Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. «Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”. Camminare insieme – Laici, Pastori, Vescovo di Roma – è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica»[4].

Effettivamente, la sinodalità ci riconduce all’essenza stessa della Chiesa, alla sua realtà costitutiva, e ci orienta all’evangelizzazione. È un modo di essere ecclesiale e una profezia per il mondo di oggi. «Come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche di Cristo» (1 Cor 12, 12).  È ciò che sant’Agostino denomina il Cristo Totale (cf. Sermone 341), capo e membra in unità indivisibile, inseparabile. Solo dall’unità in Cristo capo assume significato la pluralità tra i membri del corpo, che arricchisce la Chiesa, superando qualunque tentazione di uniformità. A partire da questa unità nella pluralità, con la forza dello Spirito, la Chiesa è chiamata ad aprire cammini e, al contempo, a porsi essa stessa in cammino. Siamo chiamati a mettere in comune quanto il Signore suscita dal basso, dalla esperienza delle nostre comunità e delle Chiese locali. “Sinodalità dal basso” ripete papa Francesco «Il Cammino sinodale, che incomincerà da ogni comunità cristiana, dal basso, dal basso, dal basso fino all’alto».

È già un grande momento di sinodalità la prossima 49° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani che si terrà qui a Taranto dal 21 al 24 ottobre con delegati di tutta Italia e con la partecipazione di tanti vescovi della Chiesa italiana affrontando il tema del “Pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”. C’è poi un appello del Papa, del patriarca ecumenico Bartolomeo I e del primate anglicano Welby ai leader mondiali che si riuniranno in novembre a Glasgow nella Cop26. Si tratta di scegliere se proseguiamo sulla stessa china consegnandoci a una lenta morte o cambiamo rotta, modificando i nostri comportamenti assumendo il compito di “scegliere la vita”e di salvare la casa comune per le generazioni future.

E anche ci prepareremo insieme alla solenne apertura del Sinodo dei Vescovi che Domenica 17 ottobre, si inaugurerà nelle singole diocesi con la presidenza del vescovo e che si terrà a Roma nel 2023. La fase diocesana comincia dal prossimo ottobre 2021 sino all’aprile del 2022. La Segreteria del Sinodo comunica che ogni vescovo, entro l’ottobre prossimo, nominerà un’equipe diocesana della consultazione sinodale, «che possa fungere da punto di riferimento e di collegamento con la Conferenza episcopale e che accompagni la consultazione nella Chiesa particolare in tutti i suoi passi». La CEI nella Carta di intenti per un cammino sinodale prevede tre momenti: “Ascolto”, “Ricerca” e “Proposta: questi sono i tre momenti perché la lettura della situazione attuale e l’immaginazione del futuro possa smuovere il corpo ecclesiale e la sua presenza nella società.

Tutta la Chiesa nel mondo è coinvolta con questo cammino sinodale e noi ci uniamo al Santo Padre e alla Chiesa italiana per essere rafforzati nella fiducia, nell’amore del Signore che ci ha raggiunti anche in questo tempo di pandemia nella nostra esperienza personale e nella vita delle nostre comunità, dobbiamo presentare testimonianza.

Ecco fratelli e sorelle, nella fiducia assoluta al Signore a alla Chiesa, la nostra missione di quest’anno è quella di aprirci all’ascolto, al dialogo franco. Dobbiamo ascoltare la voce dello Spirito che parla nelle nostre comunità ma anche al di fuori di esse. Non siamo Chiesa se non siamo capaci di camminare insieme e di affiancarci agli uomini del nostro tempo. È vero, noi proponiamo e annunciamo il Regno di Dio, ma siamo accompagnatori in esso e verso di esso perché nessuno rimanga indietro. La Chiesa ha bisogno di rinnovarsi dando ascolto a tutti. Nel Regno il più piccolo è il più grande. L’ultimo è il primo. Il più grande si fa servo. Questa è la matrice della vera sinodalità, frutto del Vangelo coraggioso, autentico e maturo.

Nelle nostre comunità diamo luogo ad una umanità diversa in cui si respira la presenza del Signore come segno di speranza per tutti. La sinodalità è come la missione: dare credito a certe presenze reali che costellano la nostra comunità in cui sentiamo che sono abbracciate le nostre fatiche e i nostri drammi, compresa la morte di persone care. Così il nostro cuore è confortato dalla fedeltà di Dio e si fa portatore di fiducia in tutti gli ambienti in cui viviamo.

Rivolgiamoci oltre che alla Madonna, “virgo fidelis” – vergine fedele, anche a San Giuseppe al quale papa Francesco ha dedicato questo anno pastorale, fidelis et iustus (cfr. Pro 28, 20), era fedele e giusto grazie all’amore che riempiva la sua anima e gli faceva amare le vie che la Provvidenza divina aveva tracciato per lui. Si è fidato di Dio anche in circostanze difficile che sembravano senza via d’uscita  ed ha protetto la sacra famiglia. Così potrà proteggere anche la nostra Chiesa ed il nostro cammino diocesano sinodale. “Una Chiesa sinodale è una Chiesa in uscita, una Chiesa missionaria, Con le porte aperte”. Chiediamo allo Spirito del Signore di cominciare questo cammino sinodale con il cuore spalancato, imparando gli uni dagli altri, attenti alle sofferenze dei poveri e della terra  e spalancati alle sorprese dell’infinito amore di Dio.

Il Signore vi benedica e buon cammino comune a tutti.

 

 

[1] I. PUNZI, I quattro codici della vita umana, Ed. Paoline, Roma 2021
[2] FRANCESCO, Misericordae Vultus, Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, 11.4.2015
[3] Cf D. ALIGHIERI, La Divina Commedia, Paradiso, canto III v. 84
[4] FRANCESCO, Discorso del Santo Padre Francesco nella commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015