28 marz0 2018

Precetto pasquale stabilimento ILVA

Omelia di S.E.Mons. Filippo Santoro

Cari Fratelli e Sorelle,

un saluto cordiale innanzitutto a voi operai e attraverso di voi alle vostre famiglie. Saluto il cappellano Padre Nicola Preziuso e tutti i sacerdoti presenti che sono in mezzo a voi per il sacramento della Confessione.
Un rispettoso saluto ai commissari qui presenti e ai rappresentanti della nuova proprietà. Saluto Sua Ecc.za il prefetto Donato Cafagna, il Sindaco Rinaldo Melucci, il presidente della Provincia Martino Tamburrano, i signori parlamentari e tutte le autorità civili e militari presenti.
Sono felice di poter celebrare ancora una volta il precetto pasquale con voi per farci illuminare  insieme dalla Parola di Dio e condividere la speranza certa della Pasqua di Risurrezione.

Per consuetudine noi celebriamo questo precetto di mercoledì Santo e la liturgia della Parola ogni anno ci mette innanzi i temi dolorosi della passione, dell’umiliazione e del tradimento, in particolare del tradimento di Giuda. Ma non c’è Parola di Dio che non sia parola di rinascita anche quando ci sembra intrisa di sconforto e di amarezza come la prima lettura che è tratta dai canti del servo sofferente del profeta Isaia.
Il servo sofferente riesce ad affrontare l’umiliazione e la pena perché il suo orecchio è attento alla Parola del Signore. Come iniziato all’ascolto quotidiano della Parola di Dio, sente nella prova più dura la vicinanza di Dio che lo assiste. Sembra perdere e soccombere sotto i flagellatori e sotto coloro che gli sputano addosso e gli strappano la barba, quest’ultimo gesto a noi sconosciuto, per gli ebrei una delle più gravi offese che si potesse ricevere. La sua interiore comunione con Dio gli consente di rialzare la testa e addirittura di sfidare i suoi accusatori: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci.

Chi mi accusa? Si avvicini a me.
Ecco, il Signore Dio mi assiste:
chi mi dichiarerà colpevole?

La lettura del servo sofferente di Isaia ci dà il primo  germe della risurrezione. Dio ci è vicino nella prova, confidare in lui vuol dire vincere anche quando intorno a noi non ci spera più nessuno e ci crede perduti. Per questo siamo,  come dice il banner, “perseveranti nella speranza”.
Anche il salmo 68 ha la stessa ossatura pur partendo dall’umiliazione dell’insulto, perché il salmista rimane fedele a Dio e con zelo cura la sua casa. L’ultima strofa è dedicata a ciascuno di noi quest’oggi, specie alle fasce più provate, a chi cede al pessimismo per cui per i poveri non potrà cambiare mai nulla e pensa addirittura che nel cuore di Dio  che non ci sia posto:

Loderò il nome di Dio con un canto,
lo magnificherò con un ringraziamento,
Vedano i poveri e si rallegrino;
voi che cercate Dio, fatevi coraggio,
perché il Signore ascolta i miseri
e non disprezza i suoi che sono prigionieri

Fatevi coraggio, ci dice il salmista, perché il Signore non disprezza le nostre preghiere, ci ascolta, ci vuole bene e la sua passione morte e risurrezione abbracciano ciascuno di noi, nessuno escluso.
Quest’anno siamo chiamati a far ricordo della visita del Beato Paolo VI a Taranto. La notte di Natale del 1968, egli volle celebrare il Mistero della nascita del redentore fra questi altoforni.
Cosa quell’evento può donarci dopo 50 anni?
Credo che, oltre tutte le contestualizzazioni storiche dovute, ci serva ricordare l’atto profetico in sé. Papa Montini infatti, desiderava ricucire uno strappo fra la Chiesa e il mondo del lavoro, lì dove la Chiesa veniva percepita estranea alla fabbrica. Il mondo stava cambiando rapidamente e Paolo VI sentiva il bisogno di cittadinanza cristiana lì dove sembrava che Dio non c’entrasse più. Nell’economia della salvezza però, il lavoro viene santificato ed è santificante proprio perché Gesù, identificato come figlio del carpentiere, era egli stesso un lavoratore, un artigiano, un operaio.
Perché il gesto di Paolo VI fu profetico?
Che cosa è la profezia?
Noi spesso riduciamo la profezia a semplice vaticinio, a previsione, ma nel linguaggio biblico il profeta è colui che annuncia la Parola di Dio con la sua carica di novità e di speranza. Essere profeti significa essere annunciatori, gettando luce sul futuro e scuotendo le coscienze al cambiamento. Ecco perché i profeti non possono piacere a tutti, perché l’invito alla conversione è predicato con azioni concrete della vita, con stili che vanno controcorrente.
Riguardando le immagini di Papa Montini che varca questi cancelli: la profezia è in quella veste bianca che percorre i luoghi del lavoro, della fatica, del rischio. Celebrare qui il santo Natale anziché nella Basilica di San Pietro, cornice apparentemente ben più consona per una Santa Messa, vuol dire abbracciare la Croce dell’annuncio di una Chiesa in uscita.
Probabilmente allora erano poco conosciute le problematiche legate alla salute, all’ambiente, e questa fabbrica voleva rappresentare il punto di svolta per una terra povera e arretrata; ma non era sconosciuto sicuramente il rischio maggiore, il pericolo più grande, e cioè quello di anteporre altri valori all’uomo stesso. Sì fratelli e sorelle, lo stabilimento, allora Italsider oggi Ilva,  per la sua grandezza e complessità, continua a rappresentare il caso più serio di cui dobbiamo rendere continuamente ragione della nostra umanità, della nostra onestà, l’Ilva è diventato un caso di coscienza permanente.
Così Paolo VI cinquant’anni orsono:
 «Prima e dopo tutto la vita è la cosa è più importante d’ogni altra; l’uomo vale più della macchina e più della sua produzione».
È vero tutto ciò?
Possiamo confermare con franchezza questa priorità?
Sento bruciare queste parole come inascoltate. Le ho sentite risuonare severe in me dopo la sentenza che ha stabilito che il Decreto Governativo dell’estate 2015 fu incostituzionale perché non tenne conto in primis del bene dei lavoratori. Per questo mi corre l’obbligo di ricordare in questa santa messa tutti i vostri colleghi che hanno perso la vita sul lavoro.
Noi potremo onorare la memoria del Beato Paolo VI solo se riusciremo a riportare al centro l’uomo, altrimenti non avrebbe senso neanche la visita del vescovo che ogni anno apre la sua Settimana Santa con questa celebrazione.
Abbiamo mezzo secolo di storia e di tanti errori alle spalle, ma la matrice di questi errori è sempre la medesima. Anteporre il consumo al lavoro e la produzione all’uomo.
Guardando negli occhi gli operai questa mattina, pensando alle loro famiglie possiamo con franchezza riaffermare questa priorità?
Oppure dobbiamo abbassare lo sguardo perché abbiamo caricato una croce d’acciaio e di precarietà su tanti ‘poveri cristi’? E qui, oltre a voi lavoratori dell’ Ilva, ho presente la difficilissima situazione di tanti lavoratori dell’indotto. E quindi nasce dal più grande stabilimento  siderurgico d’Europa la domanda ai nostri nuovi governanti che sia innanzitutto rispettata la vita, l’ambiente e la dignità dei nostri lavoratori.
La messa è il sacrificio per eccellenza, offrendo pane e vino, chiediamo al Padre di donarci in quest’ostia Gesù suo figlio. Ma il sacrificio di Cristo è un sacrificio per la salvezza degli uomini. Partecipare alla messa deve avere questa convinzione fondante per ciascuno di noi, ovvero quella che Cristo muore in croce per gli uomini che sono fratelli fra di loro e di pari dignità. Dio non muore per il lavoro, per la produzione, per il prodotto interno lordo, Dio è qui e muore per ciascuno di noi, perché ognuno sia redento e riconosciuto come figlio stesso di Dio. Questa messa non è per un convenzionale augurio in vista delle feste pasquali, ma è l’augurio della Pasqua stessa, ovvero del passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà.
Non potremo offrire pane e vino se non risponderemo in coscienza al quesito più importante: che ne è di mio fratello? Ed ancora che ne sarà di tanti disoccupati, uomini e donne; in particolare giovani, costretti ad emigrare, che nel nostro Sud dai 15 ai 29 anni sono ancora intorno al 50%.
Per gli auguri ancora una volta cito il prossimo santo, il beato Paolo VI.
«Gesù, l’operaio, il maestro e l’amico dell’umanità, il Salvatore del mondo, il Verbo di Dio, che s’incarna nella nostra umana natura, l’uomo del dolore e dell’amore, il Messia misterioso e arbitro della storia, annunci qui e da qui al mondo, il suo messaggio di rinnovazione e di speranza».

Ci auguriamo in questa Santa Pasqua che i tempi futuri non siano caratterizzati dall’incertezza che viviamo oggi, ma si aprano prospettive di cura della casa comune, di sicurezza e di serenità permanenti dei quali Taranto ha bisogno e diritto.

Buona Pasqua a tutti.